Repertorio di lessico e immagini dell'identità e dell'alterità nella letteratura dell'Europa medievale

Passi

responsabile della scheda: Federico Saviotti
Jaufre Rudel
BdT 262.3, Non sap chantar qui so non di

vv. 7-9
Ieu am so que ja no·m veira, / que·l cor joi d'autr'amor non a / mas de cela qu'ieu anc no vi


Area LessicaleLemmaOccorrenzaSensoAccezione +/-Identità/alterità
AMORamaramproprioI - Amante
AMORamoramortraslatoA - Amato/amata
TEMPUSancancproprioI - Amante
ALIUSautreautraproprioA - Amato/amata
CORcorcortraslatoI - Amante
TEMPUSja ja proprioA - Amato/amata
VIDEREvezerveiraproprioA - Amato/amata
VIDEREvezerviproprioI - Amante




Commento:

Il motivo della (mancata/ipotetica/sublimata) visione dell'amata è topico nella produzione di Jaufre Rudel (cfr. ad es. BdT 262.2, vv. 17-20) e costituisce uno dei punti principali su cui si sviluppano i rapporti intertestuali con quella di Guglielmo IX: qui il dialogo evidente (ma non per BEC 1989) è con BdT 183.7, vv. 25-26 e 31 (cfr. ZINK 2015, p. 132, anche per la bibliografia relativa). Per quanto concerne il discorso su identità e alterità, pare utile citare, su posizioni tra loro assai distanti quanto all'interpretazione di tale dialogo, due studi fondamentali per la penetrazione della densa poesia rudelliana.

"L’allure che permea questa composizione diventa qualcosa di molto vicino a quello che, per i romantici, è l’autentico atteggiamento ironico, nel quale ‘il soggetto si sa in se medesimo come l’assoluto, e non dà nessun peso a tutto il resto" (MENEGHETTI 1980, pp. 162-163).  

“Già verso la metà degli anni Venti del XII secolo, ossia gli estremi dell’anziano Guglielmo IX e gli inaugurali di Jaufre Rudel, dovette svilupparsi nella lirica occitanica un acceso dibattito intorno alla paradossale natura dell’amore cortese. Un dibattito che ne implicava altri di respiro culturale e ideologico ancora più ampio – e probabilmente connesso alla coraggiosa riflessione sulla dialettica da poco impostata nelle scuole filosofiche della Francia settentrionale – intorno all’inevitabile, anzi perfino necessaria artificiosità del rapporto conoscitivo soggetto-oggetto” (BOLOGNA-FASSO 1991, pp. 5-6). 

La reciproca impossibilità di visione tra amante e amata che caratterizza questo passo ha un evidente pendant in quella, parimenti reciproca, di "godere" dell'altro, ai vv. 25-26.